venerdì 23 ottobre 2009

LETTERA AD UN CALABRESE NON ANCORA NATO


Caro figlio,
ti scrivo per dirti che per il momento non nascerai. Mi chiedi perché? Ancora nessuno ha scoperto la sopravvivenza automatica, quella che sussiste grazie agli aiuti quotidiani della buona sorte, inquadrata nella semplicità di uno stile di vita simil-rurale, dove un tozzo di pane fa la staffetta familiare prima di arrivare in bocca. Le reti della nostra terra non ci prendono più per aiutarci ed aiutare una Calabria che in queste ore - e pare in questi anni – è stata derubata persino della sua aria. E se non cresce un frutto, figlio mio, nessuno potrà raccoglierlo e venderlo, o portarlo in tavola.
Non nascerai, figlio, figlio di questa terra, perché la mia mammella potrebbe essere vuota per i continui girotondi alla ricerca della dignità. Per ora, tutti giù per terra. E niente latte.
Il maltempo affonda uno stivale troppo recidivo alle sane proteste, troppo servile e poco partecipativo, muto anche con il vicino di finestra. Perché ti spiego, la bravura di lanciare un’offensiva non manca, ma sporcarsi le scarpe, scambiarsele, imbrattarsi di un sudore ideologico ormai inesistente quello no, non esiste più. Si inneggia alle grandi marce, alle grandi raccolte di voci, ma senza dare l’esempio. Si, figlio, l’esempio. Che brutta parola oggi. Ormai è desueto parlarne. L’esempio è ora un fantasma smarrito, che tocca le spalle come fosse un appestato, elemosinando ascolto, invano.
Non nascerai, per ora, figlio mio, ma ti cullerò tra le stelle, nella mente, tra le righe di un giornale sempre in tasca, affiancando il sentimento vero e puro, imparando giorno dopo giorno a sterrare una strada per te, concatenando una forza collettiva così che anche gli amici tuoi possano camminarci.
Ti vedrò quando avrò passato le mani nell’acqua, per pulirle dalla terra del duro lavoro, ma il tuo olfatto dovrà sentirne l’aroma forte e dolce, segno di un atto di amore. Solo amore.


Eleonora Pucci